E’ finita la terra da coltivare
Qualche giorno prima dell’Overshoot day, è arrivata una notizia: l’Italia non è autosufficiente. Non può produrre tutto il cibo di cui avrebbe bisogno. Almeno questo sulla carta. Al di là dei dubbi fondati o meno, il dato certo è che sono stati persi 2 milioni di ettari di suolo, una superficie grande quanto il Veneto, e tutto è accaduto nell’arco di 10 anni, è l’allarme lanciato dalla CIA (Confederazione italiana agricoltori) pochi giorni fà.
La mancanza di politiche incisive in questa direzione ha portato a danni che possono solo peggiorare la situazione. Significherebbe accelerare la velocità di perdita del suolo ad un ritmo di 30 ettari al giorno nel 2030. Negli ultimi 10 anni sono state cotruite la bellezza di 4 milioni di case e la cosa ancora più agghiacciante è che 5,2 milioni sono sfitte. Le conseguenze della cementificazioneselvaggia sono enormi. In 20 anni l’Italia è stata investita da una vera e propria ondata di disastri: 5.400 alluvioni, 11.000 frane negli ultimi 80 anni, 70.000 persone coinvolte e 30.000 miliardi di danni (dati ISPRA). Si dice poi che l’Italia non sia autosufficiente, passando da esportatori a importatori, per il grano tenero, riusciamo a produrre solo il 50% al di sotto delle quantità necessarie, mentre per il grano duro siamo completamente in rosso, arriviamo al 70-80%.
E’ poi possibile pensare di essere nemmeno autosufficienti per l’olio d’oliva che è fermo all’80%? Tutte queste cifre sarebbero però complete se accompagnate dalle mancate raccolte, dovute alle dinamiche di mercato che strozzano sempre di più la produzione. Solo nel 2009 il mancato raccolto è stato di 17 milioni di tonnellate, quando il consumo reale è stato di 8,7 milioni di tonnellate. E’ chiaro che il consumo di suolo va fermato ma assieme a questa scelta necessaria bisognerà mettere mano anche alle filiere agrolimentari. Intanto nello scorso Consiglio dei Ministri è stata presentata la bozza del ddl contro il consumo di suolo agricolo dal ministro delle Politiche agricole, Mario Catania. Speriamo.
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